Riassunto.

Ed è per gioco che le mani afferrano ritagli di forza e creano aquiloni…
Universi di vuoti raffinati,
onesti bavagli per non farsi schiacciare.
C’è un popolo di soldati che sfila ubbidiente sotto i miei occhi.
Ho toccato la parola “diverso” quando era il mio secondo nome.
Da bambina pensavo allo specchio come ad un fotografo di coscienze.
Vedevo il mio riflesso cangiante e mi sentivo trasparente.
Poi è arrivato il momento preciso in cui ogni cosa cambiò il suo nome.
E non era più lamento ma vittimismo, ed ho creato le mie parole.
In un codice di ventuno lettere ho tradotto le mie paure.
Ho tracciato segni infiniti per finirmi ed inchiodarmi.
C’era la promessa di una ricompensa in ogni sguardo indagatore.
Poi ho imparato a trovare il coraggio sotto il mio letto e il mio avvenire.
Il buio è stato così complice da spegnere le mie candele.
Ribadivo con sorrisi ciechi la mia gioia nel non gioire.
C’erano albe più rosse di adesso quando chiedevo ad ogni nuovo giorno
quale maschera dovevo indossare per non fare da contorno.
E quando mi dissero che ero pazza io ho sorriso e ho abbassato lo sguardo.
I miei piedi facevano ombra, ed ero convinta che stessi volando.
Ma nei giochi di una bambina adulta anche le rocce sanno sparire,
e toccavo tutto ciò che era dolce perché bastava per farmi placare…
Poi ho incontrato gli occhi di un mago che sapeva nascondere il dolore.
Sui suoi lividi io ho lasciato ogni ragione di un uomo che muore.
Arrendersi era vigliacco ma era comodo lasciarsi implorare.
La mia importanza era vera solo quando l’attenzione mi poteva cambiare.
E poi c’è l’oggi e c’è ogni giorno. C’è il miracolo del ritorno.
La meraviglia di vedere anormali quelli che mi lanciavano sassi.
Perché crescendo c’è chi perde i sogni, e chi invece li ingoia per bruciare.
Io conosco solo il nome di chi dice che esisterà sempre il dettaglio e il suo colore.
Ph. Brooke Shaden