La costellazione

La costellazione

Guido attenta, ansiosa, fremente. Il nervo teso della fretta mi taglia in due il polpaccio. Una strada tortuosa, mai percorsa prima. Qui ad ogni angolo c’è un semaforo spento che mi inchioda. Mi guardo intorno, destra, sinistra, costretta a rallentare il mio tempo due giorni d’agenda più avanti.

E poi, all’improvviso, dal nulla, una specie di miraggio blocca il moto del mondo. Sull’asfalto nero, sull’olio delle pozzanghere, galleggia una costellazione. Piccolissimi pezzi luccicanti, di un colore arancione intenso. Rallentorallentorallento che quasi mi fermo. Sollevo lo sguardo.

E come apparsa dal nulla ti vedo, in piedi, sola, al margine della strada deserta. Vedo le tue dita rosse di geloni. Sei magrissima, scura, curva, una parentesi che sottende l’inverno, con degli shorts da spiaggia e una pelliccia di orso sintetico di Alaska.

Sei una bambina che si è vestita a caso scavando nell’armadio del più adulto dei dolori. Che non conosce stagioni. Mangi un mandarino, strappandone la buccia centimetro dopo centimetro.

Centinai di coriandoli ai tuoi piedi 36, una festa a sorpresa in cui tu sei il banchetto, per bocche di padri di famiglia che ti spengono le candeline dagli occhi.

Sei la festeggiata di serie B di dicembre, sei l’acido malico che non sa lavare via il male, che non può lavare quelle pelli dalla tua pelle, quei corpi non voluti che vogliono te.

Sei un cavallo da giostra che vale un biglietto, che gira in tondo, gira in tondo, senza tornare mai più. Le labbra lucide succhiano spicchi, sputano semi, inaridiscono i raccolti.

Abbiamo sbagliato tutto. Se tu geli, se ti cibi di mostri, se tu marcisci, se tu ti ammali. Se sali su un’auto che si spegnerà per accendersi del tuo affanno, lasciandoti dietro scie di stelle soffici di albedo, briciole di Pollicino che ti allontanano da casa.

Ti vorrei aspettare. Ti vorrei liberare. Ricordarti l’odore del Natale. Invece che faccio. Che faccio? Che devo fare. Sfuggo. Fuggo. Dal tuo purissimo sguardo. Schiaccio il piede sull’acceleratore. Guardo un istante dallo specchietto retrovisore, certa di non ritrovarti, “era solo la mia immaginazione”.

Ma sei ancora lì. Sei ancora lì. A ricordarmi che non posso niente, che non contiamo niente, mentre la tua costellazione, più mi allontano, e più mi incendia gli occhi.

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