Nessuna definizione.
“E ringraziate che ci sono io, che sono una moltitudine.” (Andrea Pazienza)
Ho sognato che ti riparavo da un’esplosione di vetri. E tu sai che ho la fobia del vetro, che controllo dieci volte l’orlo del bicchiere per assicurarmi che non sia scheggiato. Ma nel sogno qualcosa esplodeva, e miliardi di vetri ci arrivavano addosso come proiettili, ed io scordavo anche le mie paure. Sentivo i vetri conficcarsi nella schiena, tra i capelli, sulle gambe, ed ero contenta che non fossero la tua schiena, i tuoi capelli, le tue gambe.
Tu mi guardavi e non dicevi niente. E di questo te n’ero grata.
Mi sono svegliata nel boato di un tuono, fuori sembrava continuare l’inferno delle schegge, ma era solo pioggia, liquida e pigra.
Ho sentito nei polsi un’urgenza, un’apnea di movimento, ed ho cercato il modo più veloce per cercarti, per toccarti, ed era questo fastidiosissimo ticchettio di tasti, che si perde in ogni goccia che bussa alla mia finestra.
Tutte queste cose minute, piccole, che mi arrivano contro, che mi circondano. Tutto questo caos di informazioni minime, di colpetti, di singhiozzi. Schegge, gocce, tasti. Tu che ti centellini senza mai arrivare, schiamazzante di attesa, di tortura cinese. Io che cerco di comporre una figura, con tutti i sassolini che mi lanci, o di trovare una strada, l’informazione più importante, la verità dietro.
Ma nessuno dei miei risultati somiglia a te, quando unisco i puntini per definirti, tu mi fai ricominciare sempre da capo. 1, 2, 3, e poi inizio a vedere doppio, a fare linee tremanti come serpenti, che ti torcono la schiena, ti spettinano, ti abbassano i pantaloni. E copro tutto con un enorme scarabocchio, che è la cosa più vicina a noi che io conosca, ma non basta, non serve, non significa niente.
Ma non significa niente per chi? A chi è che dobbiamo spiegare? Non vedi che non c’è un pezzo unico, un solo corpo, da definire. Qui c’è la scomposizione di tutto, la tua presenza in ogni angolo del mondo. Perché una persona conta quando non si può contare, una persona è unica quando è un’infinità. Una moltitudine.
Ph. Eleonora Furlan